sabato 24 gennaio 2015

Brasimone: terremoti, dighe, frane e centrali nucleari

Un amico mi ha chiesto su FB se lo sciame sismico che ha prodotto anche un terremoto M>4 sull'Appennino Tosco Emiliano sia causato dal vicino lago artificiale del Brasimone.
La possibilità mi sembra da escludere per una serie di motivi, vediamo quali.
1) Premesso che la maggioranza delle dighe induce non sismicità, quando si questo si verifica gli episodi noti sono di due tipi: se ci sono terremoti forti avvengono nell'arco di pochi anni (come nel caso della Diga di Koyna in India o della Grande Diga di Aswan in Egitto), oppure possono esserci piccoli eventi che si verificano per molti anni ogni anno dopo che si raggiunge il massimo livello d'invaso (come nel caso della Diga del Pertusillo). La diga del Brasimone (o più correttamente la diga di Scalere, dato che il torrente Brasimone è sbarrato più a valle anche dalla diga di S. Maria) fu costruita negli anni 30, assieme alle dighe di Suviana e Pavana ed alla traversa di Molino del Pallone. Fa parte di un sistema pensato per l'elettrificazione della allora costruenda "Direttissima", la linea ferroviaria  che collega direttamente Bologna e Firenze accorciando il percorso della più anziana "Porrettana". Una immagine di insieme del sistema di sbarramenti è riportata nella figura seguente, utile anche per comprendere il punto successivo.


2) La sismicità indotta da una diga è strettamente correlata al livello dell'invaso. Il livello del lago del Brasimone può variare nell'arco di 24 ore più di quanto vari nell'arco di un anno. Come si vede dalla precedente figura, Molino del Pallone, Pavana e Suviana hanno quote di invaso massime attorno a 470 m.s.l.m, quindi è facile trasferire l'acqua tra gli invasi con una galleria che agisce da troppo pieno. Il Brasimone è 350 metri più in alto. Negli anni 70 fu costruita da ENEL una centrale a Bargi, sulle rive del lago di Suviana, che durante il giorno riceve acqua dalle condotte forzate che partono dal Brasimone e sfrutta il salto idraulico. Nottetempo, quando c'è meno richiesta di energia l'acqua può essere pompata in senso inverso, riportandola nel bacino più in alto. Questa particolare variabilità ad alta frequenza non fa dell'invaso del Brasimone un candidato ideale per indurre sismicità.
3) Per quanto detto ai due punti precedenti, se la zona fosse in grado di produrre sismicità indotta si sarebbero dovuti avere effetti intorno al Lago di Suviana negli anni scorsi, quando per una manutenzione periodica il lago è stato svuotato e poi nuovamente riempito.

Il terremoto di ieri sembra piuttosto inserirsi in quadro piuttosto comune per quest'area dell'Appennino settentrionale, ovvero si sequenze con massima magnitudo compresa tra 4 e 5. La figura seguente mostra quelle registrate dalla RSNC negli ultimi 10 anni. Per alcune di esse è evidente la relazione con le faglie responsabili dei terremoti più forti (rettangoli arancioni).


La zona del Brasimone non presenta faglie al momento note in grado di dare terremoti M>5.5. Si tratta comunque di una delle zone più enigmatiche dal punto di vista della forte sismicità. Tra la Garfagnana ed il Mugello sembra interrompersi la catena di forti terremoti che prosegue quasi ininterrottamente dalla Calabria alla Liguria seguendo il crinale appenninico. Recenti studi
condotti nell'ambito di nuove stime di pericolosità sismica per le grandi dighe hanno proposto una interpretazione più complessa di questa zona, con l'introduzione di due zone sismogeniche ortogonali alla catena che vanno da Pistoia a Bologna seguendo la direzione della Valle del Reno (vedi figura sottostante, da Martelli et al., 2014).

Questa zona ha comunque un rischio sismico maggiore delle altre vicine. Perché? Come si vede dalla mappa seguente, non erano previste costruzioni antisimiche poiché non era stata classificata sismica nel 1984, ma lo è poi diventata nel 2004 (o meglio nel 2009, al fine del periodo di covigenza delle norme tecniche). Quindi le costruzioni di quei 25 anni, come pure quelle dei periodi precedenti, sono più vulnerabili di quelle di zone contermini, alcune delle quali classificate sin dagli anni 20 dopo i terremoti di Mugello e Garfagnana.



Come mai questo "buco" nella catena Appenninica nel 1984? Voci che correvano all'epoca indicavano tra le possibili "cause" la presenza nella zone del reattore nucleare del Brasimone, che come il francese Superphénix era progettato per la fissione del plutonio al posto dell'uranio. Per il raffreddamento, anziché l'acqua pressurizzata i reattori cosiddetti autorfertillizanti utilizzavano il sodio, un elemento chimico molto difficile da maneggiare, che si incendia a contatto con l'aria ed esplode a contatto con l'acqua. Il reattore del Brasimone non entrò mai in funzione, ed i suoi edifici ospitano ora un centro ricerche dell'ENEA, dove tra l'altro si studiano le maree terrestri. Nel frattempo,  a causa di incidenti e problemi con il raffreddamento al sodio ed ai lavori necessari per contenere un versante in frana, era costato ai contribuenti secondo i giornali dell'epoca oltre 1750 miliardi di lire, ovvero poco meno di un miliardo di euro (per inciso, quanto si spende in Italia in 7 anni per il Piano Riduzione Rischio Sismico).
Si trattò di un esempio molto italiano di "siting politico" già diffuso a fine degli anni 60, ovvero della scelta di un sito di costruzione di un opera per motivi non di opportunità e di adeguatezza del luogo prescelto, quanto di un volere politico che nel caso doveva rispondere da Roma (allora DC) al Comune di Bologna (allora PCI) dopo che questo aveva contribuito alla costruzione del reattore nucleare sperimentale universitario di Montecuccolino, alla periferia della città. Sicuramente il sito del Brasimone aveva alcuni requisiti necessari per questo tipo di opere: abbondanza di acqua, scarsità di popolazione e vicinanza a grandi infrastrutture di comunicazione (la A1), peccato che le caratteristiche geologiche non fossero all'altezza, e quanto alla sismicità magari questo sciame avvierà studi che ci porteranno a saperne di più.
Chiudo con una nota personale: cercando link per documentare questa storia,  mi sono imbattuto in un sito che contiene la foto qui sotto, scattata tra fine anni 70 e primi anni 80. Tra quei manifestanti ci sono anch'io, allora ventenne studente di fisica a Bologna, che aveva vagamente intuito quello che anni dopo mi sarebbe sembrato molto più chiaro: il problema del nucleare in Italia, più che nel nucleare stava nell'Italia (discorso applicabile a molte altre opere e tecnologie...).