domenica 20 gennaio 2013

Alcune considerazioni sulla sentenza sul terremoto Aquilano

E' stata pubblicata la sentenza sull'operato della Commissione Grandi Rischi. Sono quasi 900 pagine di non facile lettura, date le molte ripetizioni e tecnicismi giuridici.
Prima o poi la leggerò tutta, ma mi sono già imbattuto in una affermazione sconcertante.
Il giudice chiarisce una volta per tutte che "non è sottoposta a giudizio la scienza per non essere riuscita a prevedere il terremoto del 6.4.09. Già si è detto che le conoscenze scientifche attuali non consentono una previsione deterministica dei terremoti, ossia non consentono di prevedere con precisione l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il luogo, la magnitudo e la profondità di un terremoto"
Poco dopo però contesta agli imputati un comportamento omissivo, per non aver correttamente valutato il rischio e in particolare dice che "la legge non esigeva una riposta in termini di certezza scientifca sulla previsione del terremoto, ma una valutazione del rischio in termini di completezza e adeguatezza. E, come detto, vi è una grande differenza tra la prevedibilità di un terremoto e la prevedibilità del rischio: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile; il rischio è una situazione potenziale analizzabile".
Ora può anche darsi che nell'avere tenuto per 10 anni il corso di Sismologia Applicata al corso di Laurea in Rischi Naturali di una Facoltà di Ingegneria io abbia insegnato sempre la cosa sbagliata, ed altrettanto abbiano fatto i colleghi del corso di Rischio Sismico, ma quello che si insegna come definizione accettata del rischio è:
R=P*V*E
ovvero il rischio è dato dalla convoluzione di tre fattori: Pericolosità, Vulnerabilità ed Esposizione (impostazione peraltro condivisa nella sentenza)
L'esposizione considera la quantità delle persone ed il valore complessivo dei beni esposti a rischio.
La vulnerabilità definisce la possibilità che un edificio o una struttura complessa subiscano dei danni a fronte di un evento e la pericolosità è la probabilità che si verifichi un evento.
Nel caso di terremoto la pericolosità è definita dalla probabilità che si abbia il superamento di un determinato livello del moto del suolo (intensità, accelerazione o altro)  in un fissato periodo di tempo. La carta di pericolosità nazionale alla base della normativa esprime proprio questa probabilità per periodi di tempo standard (475anni, 2475 anni, ecc.). Se si riduce il tempo ad un periodo molto breve (chiedendosi cosa succederà entro una o due settimane) di fatto si deve valutare la possibilità che avvenga o meno un certo terremoto, ovvero (al netto di tutti i problemi di direttività, effetti di sito, ecc.) si dovrebbe poter fare proprio quella previsione che il giudice ritiene impossibile. In alternativa, considerato il limitato numero di sequenze sismiche che precede un forte terremoto (secondo le varie opinioni da 2 su 100 a 2 su 1.000) l'occorrenza di una sequenza sposta la probabilità di molto in termini relativi, ma lasciandola comunque bassa: se aumenta 100 volte, ma prima dello sciame era 1 su un milione, dopo diventa 1 su 10.000. E quali azioni si intraprenderebbero di fronte a una possibilità su diecimila che avvenga un fatto?
Ridurre il rischio diventa quindi un fatto legato alla diminuzione della vulnerabilità (costruire bene e su terreni non amplificativi) ed alla gestione della esposizione (non costruire vicino alle faglie attive o delocalizzare edifici o strutture importanti). Ma nella sentenza si dice che limitarsi al "richiamo circa la necessità di ”rafforzare le costruzioni e migliorare le loro capacità di resistere al terremoto” .. ricorda più una clausola di stile che un intento concretamente attuabile."
Dal verbale CGR e dagli interrogatori emerge che erano chiari i problemi di vulnerabilità ed esposizione all'Aquila. Quindi su cosa si poteva intervenire, se i terremoti non sono prevedibili
Se il giudice ha questa concezione del rischio, si arriva ad un paradosso. Un esempio sui vulcani: la comunità scientifica ripete da anni che c'è troppa esposizione al rischio vulcanico (le case sulle pendici del Vesuvio) e che la vulnerabilità di un edificio di fronte ad una colata di lava è totale. Se domani avvenisse una eruzione improvvisa che non ha dato modo di registrare segnali precursori, diremmo che la responsabità dei danni e delle vittime sarebbe dei ricercatori? O di chi ha costruito abusivamente case su di un vulcano attivo?


7 commenti:

  1. C'è un altro aspetto nascosto nella vicenda: la valutazione del tempo necessario per un controllo capillare.
    Quante settimane sarebbero state necessarie per individuare e passare in rassegna tutti gli edifici (tirare fuori i progetti, e farne la verifica antisismica)?
    Ci sono prove che dimostrano come gli imputati sapessero già che quei 18 edifici sarebbero crollati sotto le sferzate di un terremoto non prevedibile? in qualche intercettazione dicevano: bisogna calmare quelli delle case che sappiamo crolleranno?
    Troppo facile generalizzare dialetticamente sul rischio sismico in questioni valutate statistiche da parte di tecnici scientifici (mica oratori), specie se il giudice dimostra una totale mancanza di percezione di metologia programmatica. Insomma che Billi faccia il PERT dell'intervento di prevenzione che gli imputati avrebbero dovuto attuare. Così sarà chiaro quanto tempo realmente sarebbe stato necessario per valutare il rischio in termini di completezza e adeguatezza.

    Una piccola domanda:
    R=P*V*E
    "L'esposizione considera la quantità delle persone ed il valore complessivo dei beni esposti a rischio."
    La vulnerabilità definisce la possibilità che un edificio o una struttura complessa subiscano dei danni a fronte di un evento e la pericolosità è la probabilità che si verifichi un evento."

    Se valuto complessivamente il rischio degli edifici della città devo considerare l'esposizione media e la vulnerabilità media degli edifici.
    Post sisma si sa che le cifre sono molto scarse e quindi mediamente l'Aquila ha retto al sisma, con un'incidenza dello 0.08% di crolli (meno di un qualsiasi scostamento statistico che in genere è valutato al 5%) e meno di quanto verificatosi in molti altri sismi recenti.
    Se invece vogliamo parlare di vulnerabilità e esposizione di un edificio, come nelle frasi riportate... beh la valutazione del rischio sismico è migliore...ma solo all'Aquila ne avrebbero dovute fare circa 22 mila, una per struttura.

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    1. Si possono fare valutazioni di scenario considerando dati statistici sul rischio, partendo al minimo dai dati ISTAT (età, tipologia..).
      In alcune zone d'Italia sono stati fatti degli studi più dettagliati (rilievo con scheda di vulnerabilità) per vedere quanto una stima più accurata si scosta da quelle iniziali. Un esempio per la città di Potenza è stato pubblicato qui: http://link.springer.com/article/10.1007/s10518-011-9309-8

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  2. Questa sera su RAI3 Iacona presenterà "Responsabili", (credo Presa Diretta), che tratterà in parte della sentenza di Billi.

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    1. Se non ho capito male il rapporto barberini negli anni '90 accertava il 70% delle case era a rischio sismico medio elevato (ma con che normativa?!). Ne sono crollate 18 su 22 mila, lo 0.08%.
      Quindi o il rapporto sbaglia, oppure siamo ben al di sotto del frattile probabilistico del 5% di errore statistico ... ovvero si può dire che stanno facendo le pulci agli imputati...

      Invece lo studio della Rotondi che preannunciava (ma come?! come Giuliani?) un terremoto dopo il 2003 è un'area che dicono essere lunga 300km e larga 50.Inutilizzabile x scopi operativi.
      Sarebbe comunque interessante spulciare questo studio.

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    2. Gran bel post prof. Mucciarelli. Il rapporto Barberi e non Barberini è il frutto di un lavoro che ha visto coinvolti, nel rilievo dei dati, i cosiddetti lavoratori socialmente utili. Risale al 1998 e riguardava solo gli edifici pubblici e strategici di alcune regioni meridionali. La stima della vulnerabilità degli edifici non tiene conto di tanti aspetti, legati anche al terreno, inoltre come si può immaginare è datato, basta controllare la vulnerabilità che assegnava alla scuola di San Giuliano di Puglia che poi è crollata. Una vulnerabilità medio bassa se non ricordo male. Infatti la sopraelevazione che avvenne nel periodo successivo al rilievo fu fatale. Tale rapporto serviva solo a stimolare le azioni di prevenzione delle Amministrazioni Locali.... cosa che non è avvenuta e non poteva essere utile per azioni di protezione civile a breve o brevissimo termine come si è preteso dalla CGR.

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  3. Mi permetto di segnalare questo http://oggiscienza.wordpress.com/2013/01/19/processo-dellaquila-le-motivazioni-della-sentenza-confermano-le-accuse-agli-scienziati/ che approfondisce molti aspetti della sentenza... che è una pura follia e lascia allibiti!

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  4. C'è un elemento che nessuno ha ancora citato.
    Nelle pagine che ho letto (circa 400), la sentenza esalta come metodo per proteggersi dal terremoto il "metodo della nonna", ovvero stare fuori qualche ora di casa dopo una scossa e poi rientrare quando la paura è passata.
    Vero che in questo caso, in modo del tutto fortuito, questo metodo avrebbe funzionato, ma non è certo assumibile a sistema per la mitigazione del rischi il metodo della nonna che dovrebbe sostituire, a detta della sentenza, la diminuzione della vulnerabilità. Un tale metodo in altri casi (emilia?) sarebbe stato del tutto inutile se non dannoso.

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