mercoledì 1 ottobre 2014

Vulcani e Vulcanelli, tragedie evitabili?

Sabato 27 settembre, due eventi occorsi a grande distanza tra di loro sono stati accumunati da una tragica circostanza: nessuno li aveva previsti e questo cha causato molte vittime.
In Giappone, l'eruzione del vulcano Ontake  ha causato 12 morti e 24 dispersi tra i numerosi escursionisti che lo stavano scalando.
In Sicilia, un esplosione nei vulcanetti di fango delle Macalube di Agrigento ha ucciso due bambini che stavano visitando la riserva naturale.
In entrambi i casi si sono avute discussioni sulla possibilità di prevedere l'evento e penso sia molto istruttivo comparare i due casi.
Innanzitutto emerge la diversa maniera di affrontare il problema. Mentre il caso giapponese viene discusso apertamente ed in maniera pacata sul sito della più prestigiosa rivista scientifica  internazionale, il vulcanello italiano sembra destinato a far arrivare fango sulla stampa (vedi immagine sotto) e sul web in quello che appare più un personale regolamento di conti che non un contributo al dibattito scientifico.


Entrando nel merito del problema,  le domande poste da entrambe le vicende sono:

1) è possibile in genere prevedere i fenomeni di cui si tratta?

2) i sistemi di monitoraggio erano presenti ed adeguati?

3) quando è necessario limitare gli accessi ad un area?

Di solito siamo abituati a pensare che le eruzioni vulcaniche, a differenza dei terremoti, siano prevedibili. La vicenda giapponese insegna che i mentre alcuni sistemi presenti (come il GPS) non hanno dato alcun segnale, altri hanno dato una decina di giorni prima un segnale ad un livello che in passato non aveva portato a nessuna eruzione (la sismicità) mentre infine altri si sono attivati solo 10 minuti prima della eruzione (tremore vulcanico). Quanto ai vulcanetti di fango, in Italia non sono monitorati per il rischio che rappresentano in sè, quanto come indicatori di altri rischi come quello di eruzioni vulcaniche o di terremoti, dato che sono considerati un misuratore naturale dello stato di deformazione della crosta terrestre.

Il vulcano giapponese era sottoposto a controlli di deformazione, di sismicità e di tremore, ma non dei parametri geochimici delle fumarole, le cui variazioni possono indicare l'approssimarsi di una eruzione. Il vulcanello italiano era privo di sistemi di monitoraggio. Va ancora ricordato che in Italia non esistono studi espressamente dedicati alla previsione della attività dei vulcanelli, ed anche all'estero non vi sono molte esperienze. Ad esempio, per approfondire l'argomento si può leggere in questo articolo dell'esperienza circa il monitoraggio del microtremore dei grandi vucani di fango dell'Azerbaijan.

Infine vi è il problema del rischio accettabile. La natura che tanto ci attira è spesso matrigna. Non possiamo eliminare i rischi di certe attività, altrimenti dovremmo recintare le montagne per evitare che qualcuno muoia scalandole, o proibire per legge che si vada in barca a vela per mare in modo che nessuno faccia naufragio. Le attività endogene sono affascinanti ma pericolose. Se si visita l'area geotermale di Geysir  in Islanda o i parchi vucanici dell'area di Rotorua in Nuova Zelanda si è avvisati dei possibili rischi che si corrono. Entrare nell'area è una esplicita accettazione di tali rischi, ci sono mappe che indicano i sentieri marcati dai quali non ci si può allontanare e anche i rifugi in caso di attivita parossistiche improvvise. In giappone alcuni vulcani non sono interdetti alle visite per il ruolo religioso o culturale che rivestono (tra questi i monti Fuji e Ontake). Come dicono i vulcanologi giapponesi nell'intervista a Nature "Se le regole fossero di limitare gli accessi ad un vulcano quando ha mostrato l'attività vista a Ontake la scorsa settimana, le autorità avrebbero dovuto chiudere oltre il 10% dei vulcani del Giappone ai visitatori. Potremmo chiudere ovunque, ma la gente non vuole"

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